Saggio

Note storiche e archeo-paletnologiche inerenti la Speleologia

Premessa

Quanto scritto di seguito non ha la pretesa di essere né un compendio enciclopedico né un testo scientifico, ma solamente un modesto tentativo di fornire quelle informazioni teoriche di base che troppe volte mancano nei corsi di introduzione e di perfezionamento.
Sicuramente sono, invece, espressione della mia convinzione che la speleologia deve ritornare a quella connotazione scientifica che contraddistingueva l’attività di molti nostri illustri predecessori, ribadendo la multidisciplinarità che ci caratterizza e che ci viene da più parti riconosciuta. Sarebbe infatti estremamente riduttivo limitarla, come spesso è accaduto, ad un accanimento esplorativo puramente ludico-sportivo, a volte troppo campanilistico.
Ringrazio anticipatamente chi si vorrà inoltrare nella lettura di queste note e quanti vorranno contribuire ad integrarle e migliorarle,considerando la limitatezza del materiale attualmente a mia disposizione.

Alessandro Lodi,
Gruppo Speleo CAI – Voghera


Storia della SPELEOLOGIA

Se Francesco Petrarca è considerato il padre dell’alpinismo per la sua ascensione al Mont Ventoux in Francia, un po’ meno scontata è la notizia che Leonardo da Vinci sarebbe il padre della speleologia, in quanto attento visitatore della caverna di Moncodeno. Tuttavia, il Medio Evo può essere considerato come un periodo di regressione nella conoscenza del mondo sotterraneo, in quanto le grotte sono popolate da tanti demoni quante sono le superstizioni che considerano le cavità come ” il sospiro dell’inferno”. Nei migliori dei casi esse sono utilizzate a scopo difensivo o come luogo di reclusione di lebbrosi ed appestati, ben lontano comunque dalla tranquilla e solare vita dei borghi.

Bisogna attendere il XVI° secolo per trovare i primi itinerari speleologici compiuti con qualche ambizione scientifica: in Francia, nel 1516, fu esplorata in Isère la grotta della Balme per un centinaio di metri; contemporaneamente il Coppo, in Italia, aveva inaugurato la speleologia carsica intuendo che il Timavo doveva avere un corso sotterraneo e il Trissino esplora il “covolo” di Custoza (VR), gettando un ipoteca sulla paternità della biospeleologia notando la presenza di pipistrelli ed altri animali. Giorgio Agricola, verso la metà del secolo, oltre a dimostrare di essere il primo scrittore moderno di tecnologia (De Re Metallica, 1556), dedica un rivelatore interesse alle cavità naturali ed artificiali con un’ importante opera sui fossili.

Ricerche sistematiche si hanno con il XVII° secolo, in cui la scienza assume connotazioni sperimentali. Il Raveca, studioso ligure, esplora con metodo le grotte di La Spezia e il Magni, più tardi, descrive accuratamente le stalattiti e annota con scrupolo i momenti di un’esplorazione speleologica: siamo evidentemente alla vigilia della morfospeleologia. Ma è in Austria che si potrà cominciare a parlare di speleologia come la intendiamo attualmente, cioè l’esplorazione e lo studio delle grotte e dei fenomeni ad esse associati, tramite i lavori di Ludwig Schonleben e soprattutto Johann Weichard Valvasor nelle regini carsiche della Slovenia.

Il barone Valvasor, tra l’altro, rinvenne per la prima volta nella grotta di Carniola nel 1689 il proteo (Proteus Anguinus), un rarissimo anfibio urodelo cieco, depigmentato e con le branchie che vive solo nelle acque sotterranee del Carso. Per ironia della sorte, solo una decina di anni prima Athanasius Kircher nel suo “Mundi Subterranei ” descrive accuratamente il “Draco Helveticus Bipes et Alatus” come un tipico abitatore delle caverne. Lo stesso Valvasor, in buona fede, crede di aver trovato nel Proteo uno stadio giovanile del mitico Dragone e il Laurenti, 80 anni dopo, descriverà e denominerà Proteus Anguinus questo anfibio, considerato appunto al momento della scoperta un piccolo di drago.

La speleogenesi presenta problemi che interesseranno adeguatamente il XVIII° secolo e studiosi come Buffon, Spallanzani e Vallisneri, al quale va il merito di aver istituito con lucidità tipicamente settecentesca l’idrologia carsica, la prima a nascere come scienza moderna tra le scienze speleologiche. Nelle isole Ebridi, Banks scopre visita e descrive la grotta di Fingall, celeberrima cavità scavata dalla forza del mare nei basalti colonnari, mentre John Lloyd con la sua discesa nell’Eldon Hole del 1770, pone una pietra miliare per le future esplorazioni in Gran Bretagna. Nel 1748, Nagel, su ordine della corona austriaca esplora la caverna di Macocha, nell’attuale Cecoslovacchia, e nel 1774 vengono rinvenuti in una grotta della Westfalia i primi resti di Ursus Spelaeus. Sempre un tedesco, il celebre esploratore-naturalista barone Alexander Von Humboldt, nel 1799 osserva per la prima volta in Venezuela, nella Cueva del Guacharo, un grande uccello dalle caratteristiche di vita troglofile, lo Steatornis Caripensis – guacharo appunto-, che si muove nell’oscurità grazie a un dispositivo naturale di ecolocazione simile al pipistrello.

Siamo ormai nel XIX° secolo, romantico e poi positivista: la speleologia non può non trovare i suoi cultori, i primi studiosi sistematici che tramutarono di fatto la speleologia in una scienza interdisciplinare. Gli austriaci, sempre ligi agli ordini del loro imperatore, esplorano e rilevano a più riprese i tratti sotterranei dei grandi fiumi del Carso, Reka (Timavo) e Piuka, a costo di enormi sacrifici; Antonio Federico Lindner spenderà una fortuna e la sua stessa vita nell’esplorazione dell’Abisso di Trebiciano alla ricerca di una fonte di approvvigionamento idrico che mettesse fine alla cronica penuria d’acqua della città di Trieste. Adolf Schmidl compie un’impresa pazzesca per l’epoca in questione: naviga sulle rapide del fiume sotterraneo della grotta di San Canziano (Skocjanske Jame) e nel 1854 scrive un’opera fondamentale, “Die Grotten und Holen von Adelsberg, Lueg, Planina und Laas”.

Nel continente americano i coloni, affaccendati in problemi di frontiere e di pellerossa, badavano più che altro a considerazioni di ordine pratico; così furono gli ingenti depositi di salnitro, nitrati e guano a sospingere le esplorazioni nelle gigantesche caverne che mano a mano venivano scoperte. Carlsbad Cavern nel New Mexico, Jevel Cave e Wind Cave nel South Dakota e sopratutto la “mostruosa” Mammouth Cave nel Kentucky (1809) (che dopo la connessione con Il Flint Ridge System nel 1972 ha raggiunto l’iperbolico sviluppo di 560 Km. e oltre) stanno ad indicare una precoce considerazione delle problematiche connesse alla protezione delle aree carsiche, ed infatti sono state tramutate in altrettanti parchi nazionali (o forse è solo un sagace espediente per la gestione del businness).

Ma è dalla Francia che viene il maggiore apporto alla conoscenza delle grotte, conoscenza intesa finalmente come SPELEOLOGIA, una scienza cioè indipendente che compendia al suo interno tante discipline scientifiche quanti sono gli aspetti che caratterizzano il mondo della grotta. Nato nel 1859, Edouard-Alfred Martel è da considerarsi il vero padre della moderna speleologia. Giurista mancato, geografo per passione e per servizio militare, Martel scopre nel 1890 il mondo delle gole e delle grotte nelle Causses francesi e da allora la sua vita sarà dedicata all’esplorazione del sottosuolo in ogni parte del Mondo. Bramabiau, Dargilan, Rabanel, gouffre di Padirac, Jean Nouveau, aven Armand, Adelsberg (ora Postojna-Postumia), Mammouth Cave etc…. sono solo alcuni nomi di altrettante grotte a cui si deve la prima esplorazione o la scoprta di prosecuzioni da parte di Martel . Un solo dato ci ammutolisce: dal 1888 al 1893 questo samurai della speleologia esplora 230 abissi e rileva 50 Km. di nuove gallerie! Martel ha anche legato il proprio nome ad una Legge che il governo francese promulgò nel 1902 a difesa degli acquiferi e dei fenomeni carsici, dopo essere rimasto vittima lui stesso di un avvelenamento causato dalla carogna di un animale nella Grotta della Berrie.

Ed eccoci giunti al XX° secolo. Gli studiosi che in ogni parte del mondo si dedicano con passione e profitto alla speleologia sono innumerevoli e pertanto risulta difficile ricordarli tutti; peraltro non è intento di queste poche righe essere un dizionario aggiornato di storia speleologica, anche perché molte delle teorie e delle ipotesi formulate in questo secolo sono tuttora oggetto di valutazione e discussione e quindi, più che di storia si dovrebbe parlare di attualità.

Tuttavia, sempre rimanendo in Francia , è doveroso ricordare i nomi di Emile G. Racovitza e Armand Viré quali padri della moderna Biospeleologia; Norbert Casteret come biografo di Martel e fortissimo esploratore (a lui il merito di aver scoperto le famose statue di argilla, vecchie di 20.000 anni, nella Grotta di Montespan a seguito di un immersione solitaria in apnea); Félix Trombe per il suo ponderoso ” Traité de Spéléologie” e per le sue esplorazioni; Michel Siffre per le sue esperienze “fuori dal tempo” che hanno permesso alla scienza di valutare le risposte del corpo umano in condizione di isolamento temporale.

In Svizzera, paese dove la speleologia si è sviluppata piuttosto tardivamente, due nomi sono in evidenza, legati entrambi all’esplorazione del più grande sistema sotterraneo del vecchio continente, l’Holloch, un labirinto tridimensionale attivo di oltre 125 Km. di sviluppo. Egli, all’inizio del secolo, ne inizia l’esplorazione scientifica mentre Alfred Bogli nel secondo dopoguerra avvierà un’esplorazione sistematica che contribuirà, tra l’altro, alla formulazione dell’omonima teoria speleogenetica riguardante la corrosione per miscelazione di acque sature.

In Jugoslavia la vocazione speleologica è di lunga data,e d’altronde non potrebbe essere altrimenti. Infatti il Carso come zona geografica è suddiviso tra Italia e Slovenia e le sue grotte, come ad esempio Postumia (Postojnska Jama), hanno subito le stesse alterne vicende storiche. Citiamo qui il solo Cvijic che a partire dagli anni ’20-’25 inizia ad utilizzare come discriminanti il litotipo, l’idrografia epigea e le morfologie presenti, gettando le basi per una conoscenza organica e scientifica del carsismo. Elabora quindi una propria teoria in cui suddivide le zone carsiche in zona di percolazione o vadosa, zona fluttuante e zona in carico idrostatico, in ordine successivo dall’alto in basso; da notare che questa teoria, costituente tra l’altro la base della successiva di Swinnerton (1929), presenta una suddivisione di un tipico massiccio carbonatico valida ancora oggi , sia sotto il profilo speleogenetico, sia didattico.

In Italia , nel 1926, Luigi Vittorio Bertarelli ed Eugenio Boegan pubblicano sotto l’egida del Touring Club Italiano il mitico e presto introvabile “Duemila Grotte”, contemporaneamente manuale e guida che riassumeva 40 anni di esplorazioni nella Venezia Giulia. Allegretti, Boldori, Pavan e Ghidini, solo per citarne alcuni, danno il loro nome a più di una specie di insetti troglobi ; il geologo Michele Gortani nel 1937 confronta altre zone con il Carso triestino, contribuendo all’evoluzione delle conoscenze sul carsismo inteso come insieme di manifestazioni epi ed ipogee caratterizzanti ambienti a predominante litotipo carbonatico. Sulla stessa traccia si muove Franco Anelli, già direttore dell’ex Istituto Speleologico Italiano di Postumia e successivamente promotore della valorizzazione turistica di Castellana.

Tutto quello che è stato scoperto, rilevato e studiato negli ultimi 40-50 anni , in Europa e nel resto del mondo, è ampiamente documentato e divulgato dai gruppi che ne sono stati protagonisti, sia nei bollettini locali, sia in opere monografiche e specialistiche a tiratura nazionale e internazionale. Buona lettura!

Alessandro Lodi,
Gruppo Speleo CAI – Voghera

Fonti bibliografiche:

– Manuale pratico di speleologia, Touring Club Italiano 1980
– Histoire de la speleologie, Michel Siffre 1994
– Speleologia scientifica ed esplorativa, Giulio E. Melegari , Calderini 1984
– Guida alle grotte d’Europa, V. Aellen P. Strinati, Zanichelli 1976
– Guida illustrata alle Meraviglie naturali del Mondo,
– Selezione dal Reader’s Digest 1979
– Conoscenza dei fenomeni carsici, Ferruccio Cossutta 1999
– Appunti di biospeleologia, Tiziano Pascutto 1999

Gli ultimi due testi sono riferiti all’edizione speciale in occasione del Corso Nazionale di Perfezionamento Culturale S.N.S – C.A.I. 1999.


La grotta come archivio del passato

Per quanto poco accogliente, l’ambiente grotta è per alcuni aspetti sicuro.

Come tale lo hanno scelto a rifugio, in alcuni casi, l’uomo e altri animali predatori, trovandovi un riparo dalle intemperie, una relativa stabilità di microclima ed una certa facilità di difesa dai pericoli esterni.

Con l’avvento delle civiltà più progredite, quando l’agricoltura impone fra l’altro all’uomo di insediarsi sui terreni più fertili – che sono difficilmente quelli carsici – gli insediamenti in grotta vengono gradatamente abbandonati ovunque. Ma resta, nella memoria della tribù, il ricordo della più antica civiltà cavernicola, trasmesso oralmente di generazione in generazione, che si confonde con il culto degli avi, con i resti delle forme sociali più arcaiche. La grotta acquista allora connotazioni “numinose”, che si arricchiscono di osservazioni ” scientifiche”: ritrovamenti più o meno casuali di grandi e ormai sconosciuti resti ossei, suoni e vapori, misteriosi specchi d’acqua, inquietanti colonie di pipistrelli, tane e cucciolate di pericolosi predatori. La grotta diviene così ambiente sacro, più vicino al dio. Come tale continua – o ritorna – ad essere frequentata; i segni ed i resti delle antiche ere scompaiono sotto quelli del nuovo uso.

Poi, quasi ovunque, i mutati sistemi di produzione allontanano l’uomo e la storia dai luoghi più difficilmente raggiungibili, attenuano e interiorizzano molte forme di religiosità. Le grotte vengono abbandonate un’altra volta, le loro imboccature si coprono di vegetazione, i sentieri per raggiungerle si chiudono. Ma i segni, i resti della vita di un tempo, rimangono, e l’esploratore delle grotte, lo speleologo, sa che ancora per molti anni lui o un suo collega potrà fortunosamente trovare, sigillata in un angolo della Terra, una cavità che ne contiene, da recuperare alla conoscenza scientifica, al grande e affascinante programma di ricostruzione del passato.

Reperti Preistorici

Allo speleologo possono presentarsi oggetti e segni dei tempi passati dell’umanità; quelli più antichi, detti preistorici, e quelli meno antichi che interessano l’archeologia. Per questo non è superfluo che anche un corso, sia di introduzione che di perfezionamento, dedichi loro alcuni cenni, in modo che ogni speleologo, anche dilettante, possa identificarli e quindi eventualmente segnalarli.

Secondo un uso comune, quanto inesatto, l’uomo preistorico è chiamato volgarmente uomo delle caverne . Alcune delle più rivoluzionarie scoperte compiute, vari decenni or sono, dagli studiosi della preistoria, si ebbero più o meno casualmente nelle caverne, dalle quali furono riportati alla luce i resti di una civiltà antichissima, tanto antica da sconvolgere le ipotesi scientifiche dell’epoca e da indurre non pochi specialisti a dubitare dell’autenticità dei reperti. I tempi insomma non erano ancora maturi per accettare l’idea che l’uomo fosse già presente sulla Terra in epoche così lontane da noi e avesse vissuto contemporaneamente ad animali di specie ormai scomparse da molto.

Oggi tale realtà è stata comunemente accettata; la Paleoantropologia, che studia i reperti fossili umani, e la Paletnologia, che studia le culture materiali degli uomini preistorici, sono scienze in gran parte rinnovate e consolidate proprio dalla ricerca speleologica. Esse, servendosi dei più moderni metodi e strumenti di indagine, hanno profondamente mutato il panorama del passato della nostra specie, quale ce l’avevano tramandato le antiche storiografie e cronologie, spesso a fondo religioso, e la scienza positivista dell’ 800.

Pleistocene ed Olocene

In un’epoca che gli studiosi fanno risalire ad oltre due milioni di anni fa, in alcune zone della Terra esistevano individui che possono definirsi come i più lontani antenati dell’umanità, con caratteri fisici certamente molto primitivi, ma già in grado di foggiare i più elementari manufatti di pietra.

Da quell’epoca così lontana da noi, l’umanità si è lentamente specificata, assumendo forme, manifestazioni e comportamenti via via diversi, che gli studiosi hanno pazientemente ricostruiti e classificati, tenendo conto di ritrovamenti e osservazioni successivi, individuando periodi culturali diversi, susseguitisi fino ai tempi storici, cioè fino a quando si affermò, sviluppò e diffuse la scrittura.

L’arco di tempo in cui si sono sviluppati questi profondi mutamenti viene distinto in due grandi periodi, appartenenti all’ Era Quaternaria: Pleistocene è il periodo più antico, durato circa due milioni di anni, ed Olocene quello successivo. I tempi storici in cui viviamo attualmente costituiscono la fase più recente dell’Olocene.

Sotto il profilo culturale, in questo susseguirsi di millenni, l’umanità è andata via via sviluppando i propri caratteri fisico – psichici, la propria tecnologia, il proprio comportamento rispetto all’ambiente che la circonda.

Nel Pleistocene si distinguono solitamente tre grandi fasi: il Paleolitico inferiore la più antica, il Paleolitico medio quella di mezzo e il Paleolitico superiore la più recente. Sottodistinzioni e denominazioni di specifiche culture vennero poi definite avuto riguardo sia alle località in cui si effettuarono le varie scoperte che alle differenze riscontrate nel tipo di utensili ottenuti nelle diverse località ai differenti livelli nel terreno.

Paleolitico inferiore

Anche se si può immaginare che nei tempi più antichi l’uomo possa aver usato come utensili semplici clave ottenute da rami divelti o raccolti oppure mandibole di grossi mammiferi, i veri manufatti vennero fabbricati intenzionalmente mediante la scheggiatura di pietre. Gli utensili più antichi appartengono a quella che viene chiamata Cultura Olduwaiana, o “Pebble Culture”, in cui ci si limitava a rendere più o meno acuminati dei grossi ciottoli ovoidali con una semplice scheggiatura apicale.

Estendendo tale scheggiatura a tutto il corpo dei ciottoli, si ottennero, in epoca un po’ più avanzata, manufatti più evoluti ed utili, di cui un tipo ben lavorato sulle due facce è detto amigdala. Questo stadio è noto come Cultura Abbevilliana. In un secondo tempo le amigdale subirono una lavorazione ancora più accurata, come fecero gli uomini del successivo stadio, quello cioè della Cultura Acheuleana.

Accanto alla lavorazione dei ciottoli si sviluppò, fin dai primissimi tempi, anche una lavorazione che si avvaleva di scheggioni litici: a questo aspetto si da il nome di Cultura Clactoniana.

L’umanità di questo periodo, appartenente ai cosiddetti Protoantropi, viveva di caccia vagando nelle pianure o nelle montagne alla ricerca della selvaggina, per cui è ben raro che di questi utensili si trovi traccia nelle grotte, che in quell’epoca erano forse frequentate solo temporaneamente come asilo provvisorio.

Paleolitico medio

La nuova fase è caratterizzata dalla comparsa del gruppo umano dei Paleantropi, aventi caratteri fisici meno primitivi rispetto a quelli del periodo precedente: la razza qui predominante è quella di Neanderthal. Ora si afferma una notevole innovazione nella lavorazione della pietra, specialmente con l’introduzione della tecnica levalloisiana, che permette di ottenere utensili di forma determinata con apposite scheggiature preparatorie del pezzo greggio.

Ai neanderthaliani è anche attribuito il culto dell’orso, di cui si sarebbero individuati i segni in varie grotte alpine. Ma nelle caverne è testimoniato un altro rito ancor più interessante, attribuibile a questo periodo, quello cioè dell’inumazione intenzionale delle salme umane, il che fa ipotizzare uno sviluppo psichico e sociale caratteristico di un grado evolutivo già avanzato. Il più importante complesso culturale del paleolitico medio è costituito dalla Cultura Musteriana, di cui si distinguono diverse facies (o aspetti) che si differenziano per la forma degli utensili ottenuti da schegge litiche.

Paleolitico superiore

Con questo periodo che vide la diffusione del tipo umano dei Fanerantropi, la tecnica della lavorazione della pietra compie nuovi perfezionamenti con l’ottenimento, dal nucleo grezzo di partenza, di lame e schegge di limitate dimensioni e, soprattutto, abilmente e finemente ritoccate con opportuni percussori. In tal modo si produssero utensili di tipologia svariatissima, certamente destinati ad usi differenziati. Un’industria caratteristica fu certo la lavorazione dell’osso e del corno, che in questo periodo si sviluppa e raggiunge un alto grado di perfezione.

Lance, giavellotti, arpioni, zagaglie propulsori, vengono ottenuti dalle ossa o dalle corna di cervo o di renna, più raramente di alce, e molto spesso presentano accurate decorazioni ottenute con fini incisioni.

E’ col Paleolitico superiore che prende inoltre l’avvio una delle pagine più suggestive di tutta la preistoria, quella relativa all’arte paleolitica.

Un aspetto particolare della cultura di questo periodo, e di singolare significato, peraltro non ancora esaurientemente interpretato, è quello del rito funebre, che le genti di quest’epoca compiono con la deposizione dei defunti su letti di ocra rossa, il cui colore, simile a quello del sangue, forse costituiva un emblema di vitalità.

Nel Paleolitico superiore europeo gli studiosi hanno individuato vari aspetti culturali, i più importanti dei quali possono dirsi i seguenti:

la Cultura Castelperroniana è caratterizzata da coltellini litici ricurvi, la Cultura Aurignaziana da utensili detti grattatoi, la Cultura Gravettiana da sottili lamette appuntite che presentano un accurato ritocco lungo un bordo. Le fasi finali del Paleolitico superiore presentano, specialmente nell’Europa occidentale, aspetti singolari, come quello della Cultura Solutreana, i cui manufatti litici sono accuratamente assottigliati con fine ritocco, e della Cultura Maddaleniana che segna soprattutto l’apice della lavorazione dell’osso e del corno. Presso l’uomo paleolitico le grotte hanno avuto un ruolo di notevole rilievo, e anche maggiore nei periodi più freddi, coincidenti con le fasi glaciali, nelle quali le caverne offrivano un buon rifugio ai cacciatori che si insediavano non tanto in profondità, quanto piuttosto non lungi dall’imbocco, da cui era anche agevole dominare l’ambiente esterno e difendersi da ogni nemico, animale o uomo che fosse.

Nelle parti più interne, invece, venivano a volte sepolti i defunti o venivano svolti particolari riti.

Mesolitico

Con le culture del Paleolitico superiore termina quel lungo periodo pleistocenico, l’ultima parte del quale coincide con la definitiva ritirata delle masse glaciali, a seguito del addolcimento del clima, iniziato attorno al XII millennio a.C. Si giunse così ad un periodo che si è convenuto chiamare Mesolitico, durato circa 5 o 6 millenni, nel corso del quale si manifestarono le conseguenze delle mutate condizioni climatiche sulla flora, sulla fauna e sulla vita umana.

Le modificazioni climatiche portarono, nell’Europa meridionale, ad una rarefazione della fauna , che indusse l’umanità a ricercare altre fonti di sussistenza oltre la caccia,quali la pesca e la raccolta di molluschi.

La fissazione delle dimore che ne derivò, condusse a nuove forme di vita sociale, in armonia con le varie conquiste dei tempi nuovi che portavano l’uomo a trasformarsi da parassita della natura a elaboratore attivo delle proprie fonti di sussistenza. Ciò poté essere raggiunto soprattutto coi successivi tempi neolitici.

Neolitico

Condizioni geografiche ed ambientali di particolare favore, verificatesi intorno al VI millennio a.C. in talune zone del Vicino e Medio Oriente fecero sorgere precocemente, in quell’area geografica, insediamenti a carattere stabile, con capanne riunite spesso in veri villaggi.

Le grotte del Neolitico vennero però ancora utilizzate, sia come sedi di abitazione, che come luoghi di sepoltura o di culto. La fissazione delle dimore produsse alcune grandi innovazioni, fra cui la domesticazione e l’allevamento del bestiame e la coltivazione dei vegetali, che portò all’agricoltura vera e propria. L’industria dell’argilla fu probabilmente successiva all’intreccio, che può essere considerato la matrice della tessitura, e che permette per la prima volta all’uomo di costruire le forme, invece di ricavarle dalla materia. L’uomo trovò il modo di impastarla, plasmarla, farla seccare in modo da ottenere vasi utili per innumerevoli usi, dalla raccolta alla conservazione, alla cottura.

A seconda dei tipi di prodotti così ottenuti vengono distinti diversi aspetti culturali, diffusi in tutti i paesi, sia europei che extraeuropei.

Alla fine dei tempi neolitici un’altra grande conquista permise all’umanità di compiere un gran passo avanti sul cammino della civiltà, cioè la scoperta dei metalli: dapprima il rame, poi le leghe rame-antimonio e rame-stagno, cioè il bronzo, consentirono di produrre armi e arnesi più robusti, perfezionati e maneggevoli di quelli di pietra usati fino ad allora.

Siamo ormai in tempi olocenici avanzati, cioè nel periodo Eneolitico, nell’Eta’ del bronzo, che ci conducono all’alba dei tempi protostorici, quando fioriranno le nuove e rivoluzionarie culture e civiltà dell’Eta’ del ferro. Durante l’età dei metalli l’uomo dimorava ormai in capanne piuttosto ben costruite e le grotte erano abitate molto più raramente, forse soltanto per certi periodi stagionali in vista di talune necessità; esse venivano invece preferibilmente utilizzate come luoghi di culto e, non raramente, come sepolcri ed ossari.

L’Arte Preistorica

E’ col Paleolitico superiore che prende l’avvio una delle pagine certamente più suggestive di tutta la preistoria, quella relativa all’arte paleolitica.

Pitture e incisioni su pareti rocciose, figure ottenute a rilievo su rocce o modellate nell’argilla, oggetti di varia destinazione intagliati, scolpiti, incisi, dipinti, graffiti, il tutto attribuibile ad epoche anche molto remote, anteriori ai tempi storici, costituiscono l’espressione di quella che viene chiamata Arte preistorica. Nelle grotte può capitare di compiere scoperte riguardanti il rinvenimento di manufatti in osso, in pietra, in corno o avorio, in legno decorati o incisi variamente, oppure l’individuazione di figure o scene rappresentate sulle pareti rocciose. Nel primo caso parleremo di arte mobiliare, nel secondo caso, forse più vistoso e spettacolare, si tratta di arte rupestre e parietale.

Secondo accreditati studiosi potrebbero essere riconosciuti più stili, che corrisponderebbero sia ad altrettante fasi cronologiche, sia alle corrispondenti culture già precedentemente citate. Così, dallo stile primitivo della cultura Aurignaziana senza dettagli, si assisterebbe ad una evoluzione prospettica e dinamica che trova il suo apogeo nello stile della Cultura Maddaleniana.

Ma recenti scoperte hanno modificato in parte questa visione.

Circa 42 mila anni fa, in Europa iniziano ad apparire i primi manufatti di aspetto moderno, che gli studiosi collegano all’arrivo recente di una nuova popolazione, i Cro-Magnon (dal nome del riparo sotto roccia in cui ne furono scoperti i resti nel 1868), diffusasi probabilmente a ondate in un ambiente abitato qua e là dai Neandertal. Il periodo corrispondente alla miglior produzione litica e in osso di questa popolazione, è quello della cultura Aurignaziana (dal sito francese di Aurignac), ma le testimonianze che ci hanno lasciato vanno ben oltre.

Proprio le grotte ci hanno restituito stupefacenti testimonianze d’arte, come le statuine in avorio ritrovate nella caverna Vogelherd, nella valle del Danubio, o come il sorprendente Loewenmensch –uomo leone- ricavato dalla zanna di un mammuth e ricomposto nel museo di Ulm dopo essere stato recuperato in pezzi nel sito di Ohlenstein-Stadel.

La scoperta più sorprendente è avvenuta in una caverna sul fiume Ardèche, nella Francia sudorientale, quando tre speleologi riscoprirono una serie di camere decorate con sbalorditive pitture di belve feroci.

I dipinti della grotta, che ha preso il nome di uno dei tre speleologi – Chauvet -, rivelano uno spiccato senso della prospettiva e in un primo tempo furono erroneamente datati come quelli di Lascaux ed Altamira, cioè tra i 14 mila ed i 17 mila anni fa. Solo l’indagine col radiocarbonio ha permesso di scoprire la loro età, oltre 30 mila anni, ben aldilà di ogni fino ad allora logica supposizione, in pieno periodo Aurignaziano.

Si può ritenere, tuttavia, che dato il lunghissimo periodo in cui l’arte preistorica si è manifestata, possono esservi stati molti influssi, ristagni, decadimenti e sviluppi, di complessa interpretazione.

Infatti, ad esempio, molti archeologi sono oggi propensi a credere che i Neandertal non fossero così primitivi come finora supposto, ma bensì in grado di produrre manufatti del tipo Aurignaziano già 38 mila anni fa, come indicano gli ultimi ritrovamenti nei siti Francesi e Iberici, dando l’impressione che in questo angolo d’Europa il passaggio alla tecnologia moderna sia avvenuto prima dell’arrivo dei Cro-Magnon. Ciò potrebbe anche essere stato causato da un rimescolamento etnico, come proverebbe il ritrovamento di uno scheletro di bambino in un cavernone sotto roccia ad Abrigo do Lagar Velho, nei dintorni di Fàtima, le cui caratteristiche anatomiche sono ibride tra i due generi.

Il fatto poi che nella grotta di Blombos, in Sudafrica, siano stati rinvenuti reperti vecchi, con buona approssimazione, di oltre 70 mila anni, realizzati e decorati con una perizia che in Europa trova riscontro solo 22-25 mila anni fa, obbliga ad un più che legittimo dubbio sul fatto che il comportamento moderno sia apparso prima in Africa che in Europa. Gli stessi Cro-Magnon, dotati del resto di tratti africani, potrebbero testimoniare come l’uomo moderno sia partito dall’Africa alla volta dell’Oriente prima di colonizzare le latitudini europee.

Alla luce di tutto ciò, appare evidente che le espressioni artistiche restituiteci dalle grotte siano state interpretate forse un po’ troppo limitatamente, attribuendo loro ruolo di propiziazione della caccia o della fecondità.

Forse la chiave di lettura più completa sta nell’immaginare questi individui come noi, autori ed interpreti di un tessuto sociale in via di espansione che dava senso a quell’arte.

Reperti archeologici

Secondo l’accezione correte l’Archeologia è la scienza che studia i resti materiali dell’antichità preclassica e classica; oggi tuttavia si ritiene che le competenze, le metodologie e il campo di analisi dell’archeologo si estendano almeno al Medioevo, per cui si parla comunemente di Archeologia medioevale.

Epoca preclassica e classica

Gli insediamenti umani nelle grotte non sono in questi millenni né caratteristici, né frequenti, almeno nell’Antico Continente. Le cavità naturali sono tuttavia usate ancora dall’uomo con una certa frequenza e per più scopi. Divinità delle acque –sorgive o marine- sono venerate in alcune grotte con riti antichissimi, di cui si possono trovare testimonianze. Altre grotte sono considerate sedi di oracoli, punti di passaggio tra il mondo terreno e quello ultraterreno. Nel periodo alessandrino avanzato e poi in quello romano le grotte naturali marine vengono considerate ambienti preziosi dal gusto del pittoresco caratteristico dell’epoca; rientrano talvolta nell’area delle grandi villae signorili, e l’architetto può in parte modificarne le strutture, e arricchirle di ornamenti e statue. Alcuni culti religiosi hanno in modo preferenziale sede ipogea: fra l’altro i culti misterici di Esculapio e di Mitra, che stimolano lo scavo di grotte artificiali.

Epoca medioevale

Durante la tarda romanità e nel primo Medioevo cominciano a svilupparsi in alcune aree culturali, in particolare dell’Anatolia o dell’Egitto, forme eremitiche di monachesimo. Alcune grotte, o complessi di grotte, vengono utilizzati come eremitaggio. Si possono avere modificazioni delle strutture, con opere murarie o similari, ornamenti in stucco, in affresco; rocce facilmente lavorabili vengono anche scavate con cavità artificiali, alcune delle quali usate come luogo di culto, così in Occidente come in Oriente. Sporadicamente, le grotte vengono usate anche come riparo per le popolazioni civili, o per i pastori, in occasione di scorrerie o durante le normali transumanze. L’esplorazione delle grotte più celebri dell’antichità classica e medioevale è peraltro, ormai, un fenomeno turistico di massa, che ben poco ha a che fare con la speleologia. Tuttavia, non vi è ragione di credere che anche una piccola e trascurata cavità naturale non possa riservare all’archeologo sorprese di notevole interesse

Alessandro Lodi,
Gruppo Speleo CAI – Voghera

Fonti bibliografiche:

– Manuale pratico di speleologia, Touring Club Italiano 1980
– Guida alle grotte d’Europa, V. Aellen P. Strinati, Zanichelli 1976
– Uomini come noi, Rick Gore, National Geographic 6/2000